Un pugno di cenere by Elizabeth George & L. Perria

Un pugno di cenere by Elizabeth George & L. Perria

autore:Elizabeth George & L. Perria [George, Elizabeth & Perria, L.]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788878186460
editore: TEA
pubblicato: 1999-06-25T00:00:00+00:00


Allungai la mano verso il cane, sempre continuando a cercare le parole. Qualcosa sul terreno? Tra la la scoperto? Era così? Faceva così?

Attirai il cane verso di me. Aperto? Deserto? Dodo è un esperto? Non so come, dovevo ricostruire la filastrocca perché, se non lo facevo, sarei crollata, e non potevo affrontare quella prospettiva. Non sapevo che cosa fare per impedirlo se non passare in fretta a un'altra filastrocca, una più familiare, una di cui non potevo dimenticare le parole, come Humpty Dumpty.

Sollevai il cane, che era una femmina, e l'occhio mi cadde sul suo piede posteriore sinistro: pendeva inutilizzabile, appeso a una striscia di pelle. Sulle carni c'erano segni inconfondibili di denti canini, quasi che avesse tentato di rosicchiarsi il piede... O forse il cane che occupava la gabbia sottostante aveva tentato di rosicchiarlo per lei.

Il mio campo visivo si restrinse a un puntolino luminoso. Gridai, ma senza emettere alcun suono che potesse somigliare a una parola o a un nome. Il cane restava abbandonato e inerte contro il mio petto.

Tutt'intorno a me c'era un gran trambusto di chiazze nere in movimento, mentre i liberatori spostavano gli animali cercando di non prendere fiato. Io inspirai una boccata d'aria, ma non riuscii a trovarne abbastanza.

«Qua, lascia che lo prenda io», disse qualcuno al mio fianco. «Livie, Livie, dammi il cane.»

Non potevo lasciarlo andare, non potevo muovermi. Non potevo fare altro che sentirmi sciogliere, come se una grande vampata mi fondesse le carni. Cominciai a piangere.

«Il piede», dissi piangendo.

Dopo tutto quello che avevo visto da quando facevo parte dell'ARM, sembra quasi assurdo che a farmi crollare fosse il piede di un cagnolino che penzolava appeso a una striscia di carne morta, eppure fu così. Mi sentii invadere dalla rabbia, mi sentii sprofondare nell'impotenza come nelle sabbie mobili. Dissi: «Basta», e fui io ad afferrare la latta di benzina dalla soglia, dove l'aveva lasciata Chris.

Lui disse: «Livie, sta' alla larga».

Io ribattei: «Porta via quel cane dal recinto, là fuori. Prendilo. Ti ho detto prendilo, Chris. Prendilo». E cominciai a versare la benzina all'interno di quella bolgia infernale. Quando l'ultimo cane fu portato via e l'ultima gabbia cadde al suolo, accesi il fiammifero. Le fiamme divamparono come un geyser. Non avevo mai visto uno spettacolo meraviglioso come quel fuoco.

Chris mi prese per il braccio, altrimenti sarei rimasta dentro e sarei finita in fumo anch'io con quello sciagurato granaio. Invece uscii incespicando, mi accertai che il retriever fosse stato liberato dal recinto e corsi verso la strada. Ripetevo in continuazione: «Basta», tentando di cancellare dalla mente l'immagine di quella patetica zampetta ciondolante.

Ci fermammo a una cabina telefonica di Itchen Abbas, dove Chris chiamò il pronto intervento per segnalare l'incendio, poi tornò verso il furgoncino.

«È più di quanto si meriti quella donna», gli dissi.

«Non possiamo lasciarla legata. Non vogliamo avere sulla coscienza un omicidio.»

«Perché no? Lei ne ha, sulla sua.»

«È questo che ci rende diversi.»

Io guardai la notte sfrecciare ai lati. L'autostrada si stendeva davanti a noi, uno squarcio di cemento grigio aperto nel terreno.

«Non è più eccitante», dissi rivolta alla mia immagine riflessa nel finestrino del passeggero.



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